Abu Simbel è un sito archeologico che si trova sulla riva occidentale del Lago Nasser, in Egitto.

Il complesso è composto principalmente da due enormi templi scavati nel fianco della montagna, eretti nel XIII secolo a.C., su ordine del faraone Ramses II, per intimidire i vicini Nubiani e allo stesso tempo commemorare la vittoria egiziana sugli Ittiti, nella battaglia di Qadesh.

Il primo a scoprire questo sito quasi completamente ricoperto di sabbia, fu lo svizzero Johann Ludwig Burckhardt, il 22 marzo 1813 e in seguito il 1 agosto 1817, l’archeologo italiano Giovanni Battista Belzoni, lo esplorò per la prima volta.

Inoltre nel 1979, il sito è stato riconosciuto come patrimonio dell’umanità dall’UNESCO.

Tra i molti monumenti eretti dal faraone Ramses II, il grande tempio di Abu Simbel, che venne edificato sulle antiche vestigia di un tempio dedicato al dio Horus, è generalmente considerato il più imponente e il più bello.

Sulla facciata, alta 33 metri e larga 38, spiccano quattro statue alte 20 metri ciascuna, raffiguranti il faraone Ramses II, con indosso il copricapo chiamato “nemes”, che gli scende sulle spalle e ha il cobra sulla fronte.

Ai lati di queste statue colossali, ve ne sono altre più piccole, che raffigurano la madre Tuia e la moglie Nefertari, mentre tra le gambe ci sono le statue di alcuni figli del faraone, riconoscibili dalla treccia infantile al lato del capo.

Una delle statue di Ramses è rimasta senza testa, infatti questa è crollata pochi anni dopo la costruzione del tempio a causa di un terremoto ed è rimasta ai piedi della statua.

Invece sopra queste statue, sul frontone del tempio ci sono 14 statue di babbuini che, secondo la tradizione, guardano verso est, proprio per adorare ogni giorno la nascita del sole.

In origine c’erano 22 statue di babbuini, tante quante le province dell’Alto Egitto, anche se secondo un’altra ipotesi le statue erano in realtà 24, una per ogni ora del giorno.

Sopra la porta di ingresso del tempio, in una nicchia scavata nella roccia, inoltre si trova la statua di Ra-Harakhti, ovvero la divinità nata dalla fusione tra Ra e Horus, insieme a tutta una serie di simboli e decorazioni ai lati, che stanno ad indicare come il tempio sia stato dedicato non solo al faraone, ma anche a questa divinità.

All’interno si trova per prima la grande sala dei pilastri osiriaci, otto dei quali, alti 11 metri, raffigurano il faraone proprio con le sembianze di Osiride.

Nel soffitto invece si possono ammirare alcuni disegni incompiuti, che rappresentano la dea Mut, che protegge il tempio con le sue ali distese, mentre le pareti sono ricoperte da scene che rappresentano la vittoria di Ramses, nella battaglia di Qadesh, combattuta contro gli Ittiti, nonché altre imprese e guerre.

A seguire si entra nella sala più piccola del tempio, detta dei nobili, dove ci sono quattro pilastri quadrati coperti da rilievi raffiguranti il faraone insieme a varie divinità, che conduce poi al santuario, contenente quattro statue sedute raffiguranti Ptah di Menfi (dio dell’arte e dell’artigianato), Amon-Ra di Tebe (dio del sole e padre degli dei), Ramses II divinizzato e infine il già citato Ra-Harakhti di Eliopoli (il falco con il disco solare), ovvero le divinità all’epoca più importanti del pantheon egiziano.

Si ritiene che l’asse del tempio fosse posizionato dagli antichi architetti egiziani in modo tale che il 22 ottobre e il 22 febbraio di ogni anno, i raggi del sole penetrassero nel santuario e illuminassero le sculture sul muro di fondo, fatta eccezione per la statua di Ptah, che è sempre rimasto nell’oscurità.

Ancora oggi la gente si riunisce ad Abu Simbel per assistere a questo spettacolo straordinario, ma il 21 ottobre e il 21 febbraio, quindi con lo sfalsamento di un giorno, in quanto il tempio subì un leggero spostamento di posizione, a causa dei lavori di ricostruzione effettuati durante gli anni ’60, anche se si cercò lo stesso di mantenere il più possibile l’originale orientamento del tempio rispetto al sole e agli astri, in modo tale da assicurare il suddetto fenomeno.

Infine a nord del tempio maggiore di Abu Simbel, si trova un altro tempio scavato nella roccia, dedicato alla moglie di Ramses, cioè Nefertari e ad altre divinità preposte alla maternità e noto per essere l’unico tempio egiziano dove la regina ha la stessa importanza del faraone.

Come già accennato nel 1960, il presidente egiziano Nasser avviò l’inizio dei lavori per la costruzione della grande diga di Assuan, opera che prevedeva la formazione di un enorme bacino artificiale.

Tale grande progetto rischiava però di cancellare numerose opere costruite dagli antichi egizi tra cui gli stessi templi di Abu Simbel.

Grazie all’intervento dell’Unesco, ben 113 paesi si attivarono inviando uomini, denaro e tecnologia, per salvare il monumento.

Vennero in tal modo formulate numerose proposte e quella che, infine, ottenne maggiori consensi fu quella avanzata dalla Svezia, consistente nel tagliare, numerare e smontare blocco per blocco l’intera parte scolpita della collina sulla quale erano stati eretti i templi e successivamente ricostruire i monumenti in una nuova posizione rispetto al bacino venutosi a creare.

I lavori, che costarono circa 40 milioni di dollari, durarono dal 1964 al 1968 e impiegarono oltre duemila uomini, guidati da un gruppo di esperti cavatori di marmo italiani, provenienti da Carrara, Mazzano e Chiampo e affiancati da un apparato tecnologico senza precedenti nella storia dell’archeologia.

Altri monumenti di minore rilevanza e di minori dimensioni, anch’essi minacciati dal livello delle acque vennero in seguito smontati e donati a vari musei tra cui il museo egizio di Torino.

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